Nel caso di specie, i ricorrenti erano stati sottoposti a procedimento penale e condannati in primo e secondo grado per reati di usura ed associazione per delinquere commessi in Puglia e, con specifico riguardo a due di essi, era stata riconosciuta l’appartenenza ad un’associazione di tipo mafioso legata a condotte estorsive.
In questo contesto attinente al procedimento penale la funzione di pubblico ministero nel procedimento d’appello è stata svolta da un magistrato che si è poi trovato a comporre il collegio giudicante in funzione di giudice d’appello avente ad oggetto la confisca di prevenzione.
Invero, contestualmente al procedimento penale è stato svolto un procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione (sorveglianza speciale e confisca). Nel corso dell’iter procedurale inerente alle misure di prevenzione, le parti interessate hanno chiesto al giudice in questione di astenersi (ex art. 36 c.p.p.) posto che i fatti oggetto del procedimento penale e quelli di cui alla procedura per l'applicazione di misure di prevenzione preventive erano essenzialmente gli stessi e dato che i giudici della prevenzione erano giunti ad adottare le relative misure rifacendosi ai pronunciamenti assunti in sede penale. Lo stesso giudice ha chiesto al presidente della Corte di appello l’autorizzazione ad astenersi alla luce di quanto previsto dall’art. 36 c.p.p.
Tuttavia, il presidente della Corte d'appello ha respinto la domanda sulla base del fatto che le circostanze del caso non rientravano in nessuno delle ipotesi di astensione previste dalla legge.
Pertanto, gli imputati hanno adito la Corte di Strasburgo lamentando che la non imparzialità del collegio ha determinato una violazione dell’art. 6 § 1 C.e.d.u.
La Corte EDU ha ritenuto fondato il ricorso ricordando preliminarmente che all’interno del principio di imparzialità si possono individuare due distinte componenti e cioè quella soggettiva e quella oggettiva. Nel primo ambito si tiene conto della convinzione personale e del comportamento del giudice, vale a dire, verificando se ha mostrato parzialità o pregiudizio personale nel caso specifico. Nel secondo caso occorre valutare se il giudice ha offerto, in particolare attraverso la sua composizione, garanzie sufficienti per escludere ogni legittimo dubbio in merito alla sua imparzialità (si veda, ad esempio, Kyprianou c. Cipro [GC], 73797/01, § 118, CEDU 2005-XIII, e Micallef c. Malta [GC], 17056/06, § 93, CEDU 2009) (§ 74).
Il ricorso portato all’attenzione della Corte europea concerne la concezione oggettiva (§ 86). In particolare, se un giudice si trova investito di un caso che ha già trattato nell’ambito delle sue attribuzioni all'interno dell'ufficio del pubblico ministero, le parti in causa possono temere legittimamente che egli non offra sufficienti garanzie di imparzialità (Piersack c. Belgio, 1° ottobre 1982, § 30, serie A n. 53) (§ 82). Tuttavia, i giudici sovranazionali precisano anche che per le situazioni in cui un giudice ha precedentemente esercitato la funzione di pubblico ministero, sarebbe
eccessivo rimuovere dalla sede qualsiasi ex magistrato dell’accusa in ciascuno caso che sia stato precedentemente esaminato dal pubblico ministero. Pertanto, il solo fatto che un giudice sia stato in precedenza tra i membri dell’azione penale non costituisce un motivo per temere una mancanza di imparzialità (Paunović c. Serbia, n. 54574/07, §§ 41, 3 dicembre 2019, e Jerino'Giuseppe c. Italia (dec.), n. 27549/02, 2 settembre 2004). (§ 81). Inoltre, a parere della Corte e.d.u. vanno presi in considerazione la natura e l’ampiezza delle funzioni effettivamente esercitate (§ 78), il numero di magistrati interessati, nonché il ruolo concretamente assunto all’interno del giudizio (§ 83).
Nel caso specifico, il procedimento per la penale responsabilità e quello per l’applicazione delle misure di prevenzione avevano ad oggetto delle questioni identiche ovvero strettamente connesse in modo tale da determinare un fondato timore di assenza di imparzialità (§ 89).
Ciò risulta confermato anche dall’opinione del singolo magistrato il quale aveva avanzato richiesta di astensione (§ 88). Da evidenziare come lo stesso magistrato aveva patteggiato la pena per uno dei ricorrenti e richiesto l’affermazione della penale responsabilità in capo agli altri due (§ 90).
Infine, la Corte di Strasburgo ricorda che una Corte superiore o suprema può naturalmente, in alcuni casi, rettificare i vizi della procedura (si veda Ramljak c. Croazia, n. 5856/13, § 40, 27 giugno 2017, e Kyprianou, sopra citato, § 134), ma, nel caso di specie, la Corte di cassazione non l'ha fatto sostanzialmente non valutando come fondate le censure mosse dai ricorrenti e attinenti all’imparzialità del giudice d’appello la Corte d'appello (v. § 21)
Né la violazione dei principi di cui all’art. 6 § 1 C.e.d.u. è venuta meno in virtù del controllo di un giudice superiore posto che la Corte di cassazione interna aveva respinto il ricorso limitandosi ad affermare che il giudizio penale e quello riguardante le misure di sicurezza rispondono a logiche e presupposti differenti senza però evidenziare se in concreto il secondo era stato fondato o meno su argomentazioni ulteriori rispetto al primo (§ 96).
In definitiva, il giudice sovranazionale ha dichiarato che vi è stata violazione dell’art. 6 § 1 C.e.d.u. e condannato l’Italia al pagamento a ciascun ricorrente della somma di 2.500 euro per danno non patrimoniale.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto violato da parte dell’Italia l’art. 6 § 1 C.e.d.u. per mancanza di imparzialità atteso che il giudice componente il collegio giudicante nel corso di un procedimento di prevenzione ha già svolto le funzioni di pubblico ministero nel procedimento penale.
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