Pubblicato in data 11 novembre 2022
La Corte europea dei diritti dell’uomo non ha riscontrato la violazione dell’art. 6 § 1 C.e.d.u. da parte dell’Olanda per violazione del principio a non autoincriminarsi mediante l’ordine di consegnare dei documenti, sotto pena di sanzione fiscale, nel corso di un procedimento penale pendente per reati fiscali, essendo tali documenti preesistenti all’indagine penale in corso e non essendo stati utilizzati allo specifico fine di irrogare le sanzioni comminate.
Nel caso specifico, le autorità olandesi avevano ordinato al ricorrente, durante un procedimento penale a suo carico per evasione fiscale, di consegnare, sotto pena di sanzione fiscale, la documentazione in suo possesso concernente estratti conto e riepiloghi di portafoglio relativi ad un conto che il ricorrente aveva presso una banca in Lussemburgo.
Preliminarmente, la Corte europea dei diritti dell’uomo, richiamando la propria precedente giurisprudenza, ha chiarito che il diritto ad un equo processo ai sensi dell’art. 6 § 1 C.e.d.u. è un diritto incondizionato e che, purtuttavia, l’analisi circa il rispetto o meno di tale principio deve essere estesa a tutto il procedimento penale, dovendosi così valutare l’equità complessiva dello stesso (§ 60). Avendo specifico riguardo ai procedimenti concernenti sanzioni fiscali, i giudici di Strasburgo hanno precisato che tali casi differiscono dal nocciolo duro del diritto penale ai fini della Convenzione e che, di conseguenza, le garanzie dell’art. 6 C.e.d.u. non si applicano necessariamente con il loro pieno rigore (§ 62).
In linea generale, per aversi violazione delle tutele contro l’autoincriminazione ai sensi dell’art. 6 § 1 C.e.d.u., è necessario che l’indagato sia stato sottoposto a una qualche forma di coercizione o costrizione da parte delle autorità e che tale coercizione debba aver avuto luogo al fine di ottenere informazioni che potrebbero incriminare l’interessato in procedimenti penali pendenti o non ancora avviati nei suoi confronti (§ 72). Tale diritto riguarda, pertanto, il rispetto della volontà dell’imputato di tacere. Tuttavia, il diritto a non autoincriminarsi non si estende anche ai casi di utilizzo di poteri coattivi in circostanze indipendenti dalla volontà dell’indagato quali, tra l’altro, documenti acquisiti a seguito di un mandato, campioni di respiro, sangue e urina e tessuti corporei ai fini del test del DNA (§ 67).
Dato che non ogni compressione di tale diritto comporta una violazione dell’art. 6 § 1 C.e.d.u., l’interpretazione sovranazionale tende a far rientrare nella propria valutazione a tal proposito la natura e il grado dell’obbligazione, l’esistenza di eventuali garanzie rilevanti nella procedura e, soprattutto, l’uso a cui viene destinato il materiale così ottenuto (§ 68).
Inoltre, con specifico riguardo a coercizioni concernenti esibizioni documentali, la Corte EDU ha distinto i casi in cui i documenti fossero o meno preesistenti al procedimento penale e se le autorità fossero a conoscenza della loro esistenza (§ 69).
In particolare, in base alla giurisprudenza relativa all’utilizzo di prove documentali ottenute sotto minaccia di sanzioni fiscali nell’ambito di questioni di diritto finanziario, è pacifico che tale uso non rientra nell’ambito di tutela del diritto contro l’autoincriminazione laddove le autorità siano in grado di dimostrare che l’ordine di consegna era finalizzato all’ottenimento di specifici documenti preesistenti, cioè documenti che non erano stati creati in conseguenza del procedimento penale
Tale situazione va distinta dalle c.d. “spedizioni di pesca”, ove le autorità tentano di obbligare un individuo a fornire le prove dei reati che avrebbe commesso costringendolo a fornire documenti che ritengono debbano esistere, sebbene non ne siano certi (§ 76).
Per contro, risultando pacificamente nel caso de quo da quanto emerso nel giudizio interno che si trattasse di documenti preesistenti (§ 85), è da ritenersi – secondo la Corte sovranazionale - non controverso che le autorità olandesi fossero già a conoscenza della loro esistenza poiché era già stato stabilito che il ricorrente aveva un conto bancario in Lussemburgo all’epoca dei fatti. Non si può quindi affermare che le autorità avessero dato luogo ad una c.d. “spedizione di pesca” mediante l’ordine di consegnare tali documenti. Né era stato dimostrato dal ricorrente che l’utilizzo dei documenti in esame era stato effettuato dalle autorità interne allo specifico fine di irrogare la sanzione fiscale al ricorrente (§ 81).
Alla luce di tanto, la Corte EDU non ha rinvenuto una violazione all’equità processuale nel caso sottoposto alla sua attenzione (§ 87).
Contenuti correlati
- Council of Europe Convention on the Protection of Children against Sexual Exploitation and Sexual Abuse Lanzarote
- Proposta di Direttiva U.E. (COM)2012, 12.3.2012
- Proposta di Direttiva U.E. sul diritto dell'arrestato ad un avvocato e a comunicare con familiari/datore di lavore
- Direttiva 2012/13/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, 22.05.2011