Pubblicato il 10 marzo 2023
La sentenza in esame offre lo spunto per una riflessione sulla giurisprudenza europea elaborata in riferimento alla presunzione di innocenza (art. 6 § 2 C.e.d.u.) dall’angolo visuale dei rapporti tra più procedimenti (penale, civile e contabile) riguardanti il medesimo soggetto e conclusisi con esiti differenti.
Il caso trae origine dalla contestazione al ricorrente, assessore comunale all’urbanistica, del reato di appropriazione indebita per aver – secondo l’ipotesi accusatoria - volontariamente ritardato l’istruttoria di una domanda di concessione edilizia al fine di indurre il proprietario di un immobile a pagare delle tangenti. Il giudizio penale si è concluso in primo grado con sentenza di condanna a quattro anni di reclusione e al pagamento del risarcimento del danno nei riguardi delle costituite parti civile tra cui il comune di riferimento. L’ammontare di tali danni doveva essere determinato poi con separato procedimento civile. A seguito dell’appello proposto dal ricorrente si è addivenuti alla sentenza di secondo grado che ha riqualificato le accuse a carico del ricorrente come corruzione, ha rilevato la presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato in questione e ha pronunciato il proscioglimento per prescrizione, nonché annullato il risarcimento alle parti civili, salvo quello per il danno subito dal comune. Il successivo ricorso in Cassazione veniva rigettato.
Mentre pendeva il procedimento penale dinanzi alla Corte d’appello, la Procura della Corte dei conti, ritenendo che il ricorrente avesse con il suo comportamento danneggiato l’immagine dell’amministrazione, avviava un procedimento all’esito del quale egli veniva condannato al pagamento di una determinata somma di danaro nei riguardi del Comune interessato dalla vicenda.
Va ricordato che su questo caso la Corte EDU si era già pronunciata per vagliare l’ammissibilità delle molteplici censure mosse dal ricorrente e riguardo ai cui esiti si rinvia a Corte EDU, 13 maggio 2014, Rigolio c. Italia (dec.), n. 20148/09, ove, tra l’altro, si stabiliva che il procedimento dinanzi alla Corte dei conti non riguarda un’ "accusa penale" mossa contro il ricorrente, mentre l’oggetto del procedimento impugnato è un "contenzioso sui [i] diritti e obblighi civili" dell’interessato e pertanto l’art. 6 § 1 C.e.d.u. fosse applicabile in sede civile (Corte e.d.u., 13 maggio 2014, Rigolio c. Italia (dec.), cit.).
Nella sentenza ora in rassegna, la Corte sovranazionale ha ritenuto opportuno esaminare le allegazioni del ricorrente solo dal punto di vista dell’art. 6 § 2 C.e.d.u. (§ 65), vale a dire la norma relativa alla presunzione di innocenza. In particolare, il giudice europeo ha precisato che le doglianze del ricorrente si riferivano essenzialmente al fatto che, dichiarando la sua responsabilità, la Corte dei conti si era basata sulle conclusioni raggiunte dal giudice penale (Rigolio, sentenza citata, § 41) (§ 64), malgrado il giudizio si fosse concluso con proscioglimento per intervenuta prescrizione.
Nel percorso logico e giuridico seguito per addivenire alla soluzione del caso, la Corte EDU, dopo aver riepilogato il quadro giuridico nazionale ed internazionale attinente alla responsabilità dei pubblici funzionari, si è prevalentemente soffermata sull’art. 6 § 2 C.e.d.u. come interpretato in seno alla giurisprudenza europea. A tal riguardo, la Corte europea ha ricordato che “considerata come garanzia processuale nell’ambito dello stesso processo penale, la presunzione di innocenza impone condizioni riguardanti in particolare l’onere della prova (Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna, 6 dicembre 1988, § 77, Serie A n. 146, e Telfner c. Austria, n.33501/96, § 15, 20 marzo 2001); presunzioni di fatto e di diritto (Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, § 28, Serie A n. 141‑A, e Radio France e altri c. Francia, n. 53984/00, § 24, CEDU 2004‑II); il diritto di non contribuire all’autoincriminazione (Saunders c. Regno Unito, 17 dicembre 1996, § 68, Reports of Judgments and Decisions 1996‑VI, e Heaney e McGuinness c. Irlanda, n. 34720/97, § 40, CEDU 2000‑XII); la pubblicità che può essere data al caso prima dello svolgimento del processo (Akay c. Turchia (dec.), n. 34501/97, 19 febbraio 2002, e G.C.P. c. Romania, n. 20899/03, § 46, 20 dicembre 2011); e la dichiarazione della colpevolezza di un imputato da parte del giudice del processo o di qualsiasi altra autorità pubblica (Allenet de Ribemont c. Francia, 10 febbraio 1995, §§ 35-36, serie A n. 308, e Nešťák c. 65559/01, § 88, 27 febbraio 2007)” (§ 83 e § 92). A quest’ultimo proposito, si è ribadito che, nell’esercizio delle loro funzioni, i membri del tribunale non devono partire dall’idea preconcetta che l’imputato abbia commesso il fatto di cui è accusato. Inoltre, il dubbio deve giovare all’imputato (Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna, 6 dicembre 1988, § 77, Serie A n. 146) (§ 91).
Ciò premesso, i giudici di Strasburgo hanno rilevato che allo scopo di garantire effettività al diritto garantito dall’art. 6 § 2 C.e.d.u. occorre “evitare che i soggetti che hanno beneficiato di un’assoluzione o di una sospensione delle imputazioni vengano trattati da pubblici ufficiali o autorità come se fossero effettivamente colpevoli del reato loro imputato (Allen, sopra citata, § 94)” (§ 84). Invero, ove non si predisponesse tale forma di tutela le garanzie di cui all’art. 6 § 2 C.e.d.u. rischierebbero di diventare puramente teoriche. Il che vale anche una volta concluso il procedimento penale per tutto ciò che attiene alla reputazione dell’interessato e al modo in cui viene percepita dal pubblico. Ritiene la Corte europea che, in una certa misura, la protezione offerta dall’art. 6 § 2 C.e.d.u. può sovrapporsi a quella offerta dall’art. 8 C.e.d.u. e si richiama, sul punto, la precedente giurisprudenza europea: si veda, ad esempio, Zollman c. Regno Unito (dec.), n. 62902/00, CEDU 2003- XII, e Taliadorou e Stylianou c. Cipro, nn.39627/05 e 39631/05, §§ 27 e 56-59, 16 ottobre 2008.
Ed allora, nell’ottica dei giudici europei, ogniqualvolta si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 6 § 2 nell’ambito di un procedimento successivo, il ricorrente deve, dapprima, dimostrare l’esistenza di un nesso tra il procedimento penale concluso e l’azione giudiziaria susseguente (§ 85).
Nel caso di specie, la Corte EDU per stabilire se il procedimento dinanzi alla Corte dei conti presenti dei collegamenti con il procedimento penale tali da giustificare l’applicazione dell’art. 6 § 2 C.e.d.u., ha evidenziato che “l’esito del processo penale non era in linea di principio decisivo per l’azione dinanzi alla Corte dei conti” (87) ma, tuttavia, dei collegamenti processuali vi erano (§ 88) e che, infine, il fatto che la Corte dei conti “abbia esaminato il fascicolo penale e abbia basato il proprio ragionamento in gran parte sul contenuto di tale fascicolo è sufficiente” per affermare “che esisteva uno stretto legame tra il procedimento penale e il procedimento per il risarcimento del danno causato all’amministrazione” (§ 88) (Urat c. Turchia, nn. 53561/09 e 13952/11, § 47, 27 novembre 2018, e Alkaşı c. Turchia, n. 21107/07, § 28, 18 ottobre 2016). Dunque, l’art. 6 § 2 C.e.d.u. è stato, nella fattispecie, ritenuto applicabile al procedimento svoltosi dinanzi alla Corte dei conti (§ 88).
In sintesi, presunzione di innocenza significa impedire che i soggetti che hanno beneficiato di un’assoluzione siano trattati da pubblici ufficiali o da altre autorità come se fossero di fatto colpevoli del reato di cui sono stati accusati: “la presunzione di innocenza esige che si tenga conto, in ogni procedimento successivo, di qualsiasi natura, del fatto che l’interessato non sia stato condannato" (§ 92). In tale prospettiva, le espressioni utilizzate dall’autorità giudicante sono di fondamentale importanza (§§ 95 e 96).
Ecco perché, dunque, il giudice sovranazionale ha dovuto esaminare, nel caso di specie, il rapporto intercorso tra procedimento contabile e procedimento penale e concludere che “la Corte dei conti non solo ha effettuato un’analisi separata dei fatti per determinare se gli elementi costitutivi di un reato fossero stati soddisfatti, ma ha anche tenuto conto di ulteriori dati che consentono di stabilire la responsabilità civile del ricorrente (Fleischner, sopra citata, § 68; Ilias Papageorgiou, sopra citata, § 54) (§ 114). Si posta attenzione, inoltre, al profilo del linguaggio utilizzato dalla Corte dei conti e che determinate espressioni “non possano ragionevolmente essere interpretate come attribuzione di responsabilità penale al ricorrente” (§§ 117 e 118). D’altro canto, è stato rilevato che “è vero che il riferimento operato nella sentenza impugnata agli «effetti di un giudizio penale definitivo pronunciato nei confronti di pubblici ufficiali, come nel caso di specie, colpevoli di reati punibili dal codice penale ai fini della tutela della pubblica amministrazione" (comma 27 supra) può, da un punto di vista puramente testuale, suscitare dubbi quanto alla sua compatibilità con l’art. 6 § 2 C.e.d.u. (§ 122). Tuttavia, la Corte europea ha osservato che, nel caso di specie, tale ambiguità può essere respinta, poiché dal contesto risulta che l’espressione in questione, inserita in un obiter dictum concernente considerazioni interpretative relative alla riforma del procedimento dinanzi alla Corte dei conti (§ 123), mirava a chiarire il rapporto tra procedimento penale e civile in ordine all’accertamento della responsabilità civile, e che non riguardava la specifica situazione del ricorrente (§ 123).
In conclusione, la Corte di Strasburgo non ha ravvisato, né nella descrizione, né nella valutazione dei fatti in base ai quali il giudice contabile ha dichiarato responsabile il ricorrente per il danno subito dall’amministrazione comunale, nulla che possa essere interpretato come l’affermazione della colpevolezza penale del ricorrente (§ 125).
Alla luce di quanto analizzato, la Corte europea, pur sottolineando che occorre prestare particolare attenzione nel motivare una sentenza civile o contabile pronunciata a seguito di un procedimento penale concluso con proscioglimento, ritiene che, tenuto conto della natura e del contesto del procedimento nel caso di specie, l’accertamento condotto in sede contabile non può considerarsi lesivo per il ricorrente della presunzione di innocenza (§ 126).
Di conseguenza, la Corte EDU all’unanimità ha ritenuto che non vi sia stata violazione dell’art. 6 § 2 C.e.d.u.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha escluso la violazione dell’art. 6 § 2 C.e.d.u. qualora la decisione del giudice contabile di condanna al pagamento del risarcimento per danno all’immagine subito da un’amministrazione pubblica ad opera di un amministratore (la cui vicenda penale si sia, però, conclusa con proscioglimento per prescrizione) non si basi su fatti o non utilizzi espressioni da cui desumere l’affermazione della colpevolezza penale del ricorrente.
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