Violazione art. 8 C.e.d.u. - Vita privata e familiare – Ammonimento – Reato di stalking - Esclusione del ricorrente dal processo decisionale – Mancata dimostrazione delle ragioni di urgenza - Insufficiente controllo giudiziario - Insufficienti garanzie procedurali (Corte EDU, Sez. I, 22 giugno 2023, Giuliano Germano c. Italia, n. 10794/12)

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto violato da parte dell’Italia l’art. 8 C.e.d.u. in un caso di ammonimento adottato dal questore ai sensi dell’art. 8 d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, essendo il ricorrente stato escluso in modo significativo dal processo decisionale e non essendo state dimostrate le ragioni di urgenza del provvedimento. Di conseguenza, al ricorrente non è stata garantita una protezione legale adeguata contro eventuali abusi a cui si ha diritto in una società democratica.

Mariangela Montagna

Nel caso di specie sottoposto all’attenzione della Corte europea vi è un provvedimento di ammonimento adottato a carico del ricorrente ex art. 8 d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, in cui si prevede che “fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall’articolo 7, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore”. Al comma 2 è poi stabilito che “il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale”. Si tratta di misure contenute in un provvedimento legislativo volto a contrastare il tema della sicurezza pubblica e della violenza sessuale, nel cui ambito venne altresì inserito l’art. 612-bis c.p. inerente al reato di “atti persecutori” (c.d. stalking).
Il ricorrente è stato oggetto del predetto ammonimento a seguito di una richiesta presentata dalla moglie che riferiva di diversi episodi di violenza fisica e verbale inflitti alla stessa dal ricorrente sia durante il periodo di convivenza, sia successivamente, cioè una volta interrotta la convivenza.
Avverso il provvedimento di ammonimento il prevenuto ha proposto impugnazione presso il T.A.R. lamentando la violazione del suo diritto a partecipare al procedimento amministrativo in base a quanto disposto dall’art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241 per far valere le sue ragioni. Il T.A.R. accoglieva il ricorso ed annullava l’ordinanza di ammonimento ritenendo sussistente la violazione dei principi di contraddittorio, di difesa e di parità delle armi.
Tale pronuncia veniva sottoposta a gravame dal Ministero dell’interno dinanzi al Consiglio di Stato che respingeva respinte le argomentazioni del giudice di primo grado sul rilievo che la misura di prevenzione dell’ammonimento è, per sua natura, caratterizzata dall’urgenza e dalla gravità delle condotte contestate, essendo finalizzata ad evitare un danno irreparabile alla presunta vittima di stalking.
A fronte di ciò, il ricorrente adiva la Corte di Strasburgo asserendo la violazione dell’art. 8 C.e.d.u. e cioè una violazione nel suo diritto alla vita privata, familiare e professionale, nonché degli artt. 6 § 1 e 8 C.e.d.u., sotto il profilo della violazione dei suoi diritti di partecipazione e difesa, della mancanza di motivi pertinenti e sufficienti a giustificare l’ammonimento del questore e della mancanza di un sufficiente controllo giudiziario di tale misura.
La Corte e.d.u., tra le altre cose, si è soffermata (§§ 37- 40) sulla giurisprudenza interna sub art. 8 d.l. n. 11/ 2009 ed il diritto di partecipare alla procedura secondo quanto stabilito dalla legge n. 241/1990, evidenziando le due diverse interpretazioni: l’approccio maggioritario secondo cui la funzione preventiva dell’ammonimento non giustifica la deroga al diritto dell’individuo di essere sentito prima dell’adozione del provvedimento; la posizione minoritaria che, facendo perno sulla funzione preventiva della misura, lascia al questore piena discrezionalità per valutare se coinvolgere o meno nella procedura il soggetto interessato.
In riferimento all’asserita violazione dell’art. 8 C.e.d.u., il giudice di Strasburgo ha osservato che vi è consolidata giurisprudenza secondo cui, sebbene tale norma non contenga requisiti procedurali espliciti, il processo decisionale che porta a misure di ingerenza deve essere equo e tale da garantire il dovuto rispetto degli interessi tutelati dalla norma. Di conseguenza, la Corte sovranazionale ha scelto di esaminare le lamentele dell’istante esclusivamente in base all’art. 8 C.e.d.u. (§§ 57-58).
In questa prospettiva, il ricorrente ha sostenuto la violazione del suo diritto alla vita privata, familiare e professionale, posto che la base giuridica della misura adottata nei suoi confronti non era compatibile con i requisiti di qualità della legge previsti dalla Convenzione; che gli obblighi a lui imposti erano eccessivamente ampi e generici e che il quadro giuridico non gli aveva assicurato adeguate garanzie contro l’arbitrarietà; che non gli era stata offerta nel procedimento la possibilità di proteggere adeguatamente i suoi interessi; che non vi erano motivi sufficienti a giustificare la misura e che i tribunali nazionali competenti non avevano esaminato tali motivi in modo approfondito (§ 59).
Nell’esaminare la controversia, i giudici di Strasburgo hanno sottolineato come il “diritto alla vita privata” sia un termine ampio e non suscettibile di definizione esaustiva (vedi Sidabras e Džiautas c. Lituania, n. 55480/00 e 59330/00, § 43, CEDU 2004-VIII). Inoltre, hanno aggiunto che sarebbe troppo restrittivo limitare la nozione di “vita privata” a un “cerchio interno” in cui l’individuo può vivere la propria vita personale come desidera, escludendo completamente il mondo esterno non compreso in quel cerchio (vedi Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, § 29, Serie A n. 251-B) (§ 73).
Ne deriva – a parere della Corte – che l’art. 8 C.e.d.u. tutela un diritto alla “vita privata” nel senso ampio, compreso il diritto a condurre una “vita sociale privata”, ovvero la possibilità per l’individuo di sviluppare la propria identità sociale. Pertanto, tale norma tutela anche il diritto allo sviluppo personale e il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani e con il mondo esterno (vedi Denisov c. Ucraina [GC], n. 76639/11, § 95, 25 settembre 2018) (§ 74).
La Corte EDU inoltre ha evidenziato che la reputazione di una persona fa parte della sua identità personale e dell’integrità psicologica e rientra quindi nell’ambito della sua “vita privata” (vedi Pfeifer c. Austria, n. 12556/03, § 35, 15 novembre 2007) (§ 75).
E al contempo, per delineare il concetto di vita familiare, i giudici europei hanno rilevato come, riguardo ai figli, la convivenza non sia un requisito essenziale per la “vita familiare” tra genitori e figli minori (vedi Naltakyan c. Russia, n. 54366/08, § 151, 20 aprile 2021) (§ 76).
Alla luce dei predetti principi, la Corte europea ha ritenuto che l’ammonimento ricevuto dal ricorrente è stato tale da influire negativamente sul godimento della vita familiare e sociale privata dello stesso. Inoltre, considerando che la misura è stata adottata in relazione a comportamenti rientranti nella definizione di "stalking", e che il testo dell’ammonimento affermava che il ricorrente molestava e intimidiva sua moglie, la Corte ha ritenuto che la misura potesse avere un effetto stigmatizzante sul richiedente e influire sulla sua reputazione.
Di conseguenza, la Corte di Strasburgo ha concluso che i fatti alla base del ricorso rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 8 C.e.d.u., sia sotto il profilo della vita familiare, sia della vita privata e che vi è stata un’ingerenza nei diritti garantiti da questa norma.
Si è partiti dalla considerazione che l’art. 8 C.e.d.u. mira a proteggere l’individuo dall’azione arbitraria delle autorità pubbliche e che un’ingerenza in quest’ambito è giustificabile soltanto se prevista dalla legge e se costituisce una misura che, in una società democratica, si rende necessaria per uno dei fini menzionati dal § 2 della norma (v. Paradiso e Campanelli c. Italia [GC], n. 25358/12, § 167, 24 gennaio 2017) (§ 90).
Con riguardo alla questione concernente la base legale richiesta (a), la Corte europea, richiamando la precedente giurisprudenza sul punto (cfr. De Tommaso c. Italia [GC], n. 43395/09, § 107, 23 febbraio 2017, e Brazzi c. Italia, 57278/11, § 39, 27 settembre 2018) ha chiarito che essa non si limita ad imporre la presenza di un riferimento nel diritto interno, ma esige – in ossequio allo Stato di diritto – l’accessibilità e la prevedibilità del suo contenuto e dei suoi effetti per le persone interessate (§ 91).
I giudici europei hanno sottolineato che i concetti di legittimità e di Stato di diritto in una società democratica richiedono anche che le misure che incidono sui diritti umani siano soggette a una forma di procedimento in contraddittorio dinanzi ad un organo indipendente competente per riesaminare tempestivamente le ragioni della decisione e le prove pertinenti (§ 95).
La Corte europea inoltre osserva che, nel caso di specie, il fondamento giuridico della misura adottata contro il ricorrente era la qualificazione delle sue azioni come "potenzialmente" costituenti il reato di stalking e il rischio che egli ripetesse tali azioni, e che la misura adottata aveva lo scopo dichiarato di prevenire la commissione di tale reato. Pertanto, secondo i giudici di Strasburgo si tratta di stabilire: (i) se la legge nazionale delimitasse in modo sufficiente la discrezionalità conferita al questore nell’adottare la misura; (ii) se gli obblighi imposti al richiedente a causa dell’avviso erano formulati con sufficiente precisione per consentirgli di regolare il suo comportamento futuro; e (iii) se la legge italiana offriva una misura di protezione legale contro interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche nel diritto del richiedente alla vita privata e familiare (§ 100).
Dopo aver analizzato gli artt. 7 ed 8 d.l. n. 11/2009, riferiti rispettivamente all’introduzione del reato di stalking ed all’ammonimento in relazione all’attività di prevenzione del medesimo reato, cui l’art. 8 d.l. n. 11/2009 fa riferimento, la Corte ha concluso che il testo dell’art. 8 menzionato, considerato nel suo contesto e alla luce dello scopo che persegue, è stato formulato con un grado sufficiente di chiarezza al fine di delimitare la discrezionalità conferita al questore e, pertanto, di prevenirne l’arbitrarietà (§ 103).
Anche in riferimento alla prevedibilità il giudice sovranazionale ha ritenuto il provvedimento di ammonimento conforme con i principi dell’art. 8 C.e.d.u. visto che il richiamo al reato di condotte persecutorie ex art. 612-bis c.p. rendeva sufficientemente chiaro l’ambito di applicazione dell’ordinanza imponendo al ricorrente stesso di astenersi dal porre in essere comportamenti corrispondenti al reato di stalking nei confronti della medesima persona (§ 108).
È stato poi evidenziato che nell’ordinamento italiano il diritto di partecipare al procedimento amministrativo può subire limitazioni solo per specifici motivi di urgenza. Pertanto, i giudici europei hanno dichiarato che la normativa interna riesce a raggiungere un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco, tutelando la sfera giuridica dell’individuo e permettendo la deroga al diritto di essere ascoltati unicamente nei casi di urgenza (cfr., Tortladze c. Georgia, n. 42371/08, § 66, e Kuzminas c. Russia, n. 69810/11, § 24, 21 dicembre 2021) (§§ 116-117).
Successivamente la Corte europea si è soffermata sull’elemento della necessità all’interno di una società democratica dei poteri di ingerenza (b). In argomento, va verificato se le ragioni che hanno mosso l’autorità interna siano pertinenti e sufficienti (cfr. Piÿkin c. Turchia, n. 33399/18, § 212, 15 dicembre 2020). In altre parole, l’intromissione nella sfera dell’individuo da parte dello Stato membro deve essere proporzionata allo scopo legittimo perseguito e corrispondere ad un’esigenza urgente (cfr. Tortladze c. Georgia, cit., § 58, 18 marzo 2021) (§ 96).
A tal proposito, è stato messo in rilievo che l’ordinanza di ammonizione nel caso specifico non aveva adeguatamente esposto le circostanze che avrebbero fondato l’emissione di una misura di urgenza (§ 129). Più precisamente, non sono state prese in considerazione le dichiarazioni delle persone informate sui fatti che contraddicevano il racconto della vittima, non consentendo di individuare i criteri di valutazione delle prove e le circostanze di fatto e di diritto che hanno condotto il questore ad emettere il provvedimento (§§ 135-136).
Invero, il carattere orale dell’ammonimento e la celerità del relativo procedimento non esonerano le autorità interne dall’obbligo di fornire pertinenti e sufficienti motivazioni idonee a giustificare l’adozione di misure che incidono sui diritti tutelati dall’art. 8 C.e.d.u. (§ 137).
Inoltre, le lacune motivazionali del provvedimento impositivo non sono state colmate dall’autorità giudiziaria italiana in quanto il Consiglio di Stato, intervenuto in sede di controllo, si è limitato a richiamare le argomentazioni del questore senza provvedere ad un attento esame sul merito e cioè sulla sussistenza o meno dei pericula che l’ammonimento mira ad impedire a seguito degli elementi probatori emersi (§§ 141-142).
A seguito di quanto sopra affermato, la Corte europea ha ritenuto che il ricorrente sia stato escluso in modo significativo dal processo decisionale senza che siano state dimostrate le ragioni di urgenza. In particolare – a parere della Corte - non sono state fornite motivazioni pertinenti e sufficienti a giustificare la misura e, alla luce della revisione effettuata dal Consiglio di Stato, le eventuali garanzie offerte al ricorrente sono risultate limitate. In sostanza, le autorità interne non hanno garantito al ricorrente una protezione legale adeguata contro eventuali abusi, a cui si ha diritto in una società democratica.
Di conseguenza, l’ingerenza nel diritto del ricorrente alla vita privata e familiare non è stata considerata dai giudici sovranazionali conforme al paradigma dell’art. 8 C.e.d.u. nella parte in cui prescrive che eventuali ingerenze siano accettabili in quanto "necessarie in una società democratica" (art. 8 § 2 C.e.d.u.). E’ stata, perciò, dichiarata la violazione dell’art. 8 C.e.d.u (§ 144-145).
Inoltre, il giudice sovranazionale ha condannato l’Italia al pagamento di Euro 9.600 a titolo di danno non patrimoniale nei confronti del ricorrente.

(23 giugno 2023)