Pubblicato il 16 novembre 2023
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato una violazione degli artt. 3 e 5 C.e.d.u. da parte dell’Italia per avere lo Stato italiano trattato in modo degradante i ricorrenti, cittadini sudanesi giunti sulle coste italiane tramite imbarcazione, ed aver ristretto illegittimamente la loro libertà personale in occasione della permanenza presso l’hotspot di Taranto.
Il caso riguarda la presunta detenzione illegale dei ricorrenti, cittadini sudanesi giunti sul territorio italiano in barca, le condizioni materiali del loro trasferimento da Ventimiglia a Taranto e ritorno nonché le condizioni in cui erano stati accolti durante la loro permanenza presso l'hotspot di Taranto.
I ricorrenti hanno effettuato ricorso a Strasburgo allegando una violazione degli artt. 3 e 5 della Convenzione europea.
Nel dettaglio, le doglianze poste all’attenzione dei giudici europei possono essere riassunte nei termini che seguono.
Con riferimento all’art. 3 C.e.d.u., in primo luogo, i ricorrenti si dolevano di non aver mai avuto accesso ad un interprete e di non essere mai stati informati dalle autorità italiane della possibilità di chiedere la protezione internazionale. In secondo luogo lamentavano la circostanza di aver avuto accesso a scarse quantità di cibo e di acqua e di essere stati privati dei propri indumenti.
Per ciò che concerne il parametro dell’art. 5 C.e.d.u., invece, i ricorrenti si dolevano del fatto di non essere mai stati informati della ragione per cui la loro libertà personale era stata ristretta e di non aver potuto nominare un avvocato. Lamentavano poi che, durante gli spostamenti in autobus da un centro di accoglienza ad un altro, erano costantemente sotto la vigilanza delle Autorità italiane e che non potevano mai allontanarsi dall’hotspot. Infine, lamentavano il fatto che le autorità italiane ignorassero le loro richieste di non essere rimpatriati in Sudan, Paese in cui sarebbero stati esposti al rischio di trattamenti inumani e degradanti.
I giudici di Strasburgo hanno accolto il ricorso.
In particolare, la Corte e.d.u. ha ricordato che quando un individuo è privato della sua libertà o, più in generale, si trova a confrontarsi con le forze dell'ordine, qualsiasi ricorso alla forza fisica che non sia stato reso strettamente necessario dal comportamento della persona sminuisce la dignità umana ed è in linea di principio una violazione del diritto sancito dall’articolo 3 della Convenzione (§ 81).
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che nel complesso lo Stato convenuto non ha dato prova di una fondata giustificazione delle procedura di spoliazione. Non ha inoltre dato prova del fatto che i ricorrenti siano stati nutriti in modo adeguato, né che siano stati informati della possibilità di chiedere la protezione internazionale.
Nelle particolari circostanze del caso di specie, la Corte ha quindi constatato che queste condizioni materiali, mentre i ricorrenti erano sotto il controllo delle autorità, nel loro insieme hanno causato ai ricorrenti un notevole disagio e un sentimento di umiliazione a un livello tale da equivalere a un trattamento degradante vietato dall’articolo 3 della Convenzione.
La Corte europea ha inoltre riconosciuto una violazione dell’art. 5 della Convenzione e.d.u. in quanto, a suo parere, vi è prova che i ricorrenti sono stato privati in modo illegittimo della loro libertà personale, non sono mai stati resi edotti della ragioni della restrizione della libertà personale e non è stato concesso loro un rimedio giurisdizionale per contestarla.
La Corte e.d.u. ha quindi accordato ai ricorrenti la somma di euro 31.000,00 a titolo di ristoro per il danno morale subito.
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