Pubblicato il 25 gennaio 2023
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riscontrato una violazione degli artt. 3 e 6 § 1 C.e.d.u. da parte della Russia per avere le Autorità interne estorto ai danni del ricorrente una confessione tramite tortura, attività che ha integrato un trattamento inumano e degradante determinando altresì la conseguente violazione del canone di equità processuale.
Nel caso di specie, il ricorrente è un attivista per i diritti umani accusato dalle Autorità interne di spaccio di sostanze stupefacenti, attività illecita che sarebbe stata confermata da una confessione del ricorrente stesso. Quest’ultimo, tuttavia, ha proposto ricorso a Strasburgo lamentando il fatto che la confessione gli fosse stata estorta tramite l’inflizione di sofferenze fisiche, tra l’altro documentate da referti medici. Invero, secondo il verbale della visita medica redatto presso una struttura di detenzione temporanea in cui era stato internato, il ricorrente presentava lividi sulla gamba destra nella zona del gluteo e sulla mano sinistra. In alcune fotografie, inoltre, il ricorrente mostrava numerosi punti scuri sulla pelle del braccio sinistro, vari segni viola scuro sul braccio sinistro e una grande macchia scura viola sulla sua natica destra, lesioni probabilmente causate da scosse elettriche (§ 38 ss.)
La Corte EDU ha ritenuto fondate le doglianze del ricorrente e ha stabilito che i maltrattamenti inflitti, supportati da prove mediche che non sono state contestate dal Governo, hanno chiaramente causato gravi sofferenze fisiche e mentali, e che la sequenza degli eventi dimostra anche che il dolore e la sofferenza gli sono stati inflitti intenzionalmente, vale a dire allo scopo di estorcere confessioni. La Corte ha quindi concluso che il maltrattamento in questione equivale a tortura (§ 102) e che dunque vi è stata una violazione dell'articolo 3 C.e.d.u. (§ 103).
La Corte europea ha riconosciuto anche una violazione del canone di equità processuale di cui all’art. 6 § 1 C.e.d.u. In proposito, è stato ribadito il concetto secondo cui l’ammissione della confessione ottenuta in violazione dell'articolo 3 C.e.d.u. rende il relativo procedimento penale nel suo complesso automaticamente iniquo, indipendentemente dal valore probatorio di tali dichiarazioni e indipendentemente dal fatto che il loro uso sia stato decisivo per assicurare la difesa dell'imputato condanna (§ 108).
Sulla base di queste argomentazioni, la Corte EDU ha accordato la somma di euro 52.000 a favore del ricorrente a titolo di ristoro per il danno morale subito.
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