Violazione dell’art. 6 C.e.d.u. – Processo iniquo – Condanna del ricorrente per resistenza a pubblico ufficiale basata unicamente sulle dichiarazioni degli agenti di polizia (Corte EDU, Sez. III, 28 giugno 2022, Boutaffala c. Belgio, n. 20762/19).

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la violazione dell’art. 6 § 1 C.e.d.u. da parte del Belgio per la condanna di un uomo per resistenza a pubblico ufficiale cui si è pervenuti all’esito di un procedimento penale nell’ambito del quale non sono stati rispettati i canoni dell’equità processuale garantiti dalla Convenzione.

Il ricorrente era stato accusato di avere aggredito degli ufficiali di polizia e condannato unicamente sulla base delle dichiarazioni dei medesimi pubblici ufficiali. La Corte d’appello nazionale aveva altresì stabilito che il ricorrente non era riuscito a provare al di là di ogni ragionevole dubbio la circostanza che il suo arresto fosse avvenuto illegittimamente e che la polizia avesse esercitato violenza in modo del tutto ingiustificato, come da lui sostenuto nell’ambito del processo. La Corte EDU, tuttavia, ha riconosciuto una violazione dell’equità processuale.
La Corte ha ricordato che, ai sensi dell'articolo 3 C.e.d.u., le persone incaricate di svolgere le indagini nei casi in cui la polizia pare aver esercitato violenza sulle persone devono offrire tutte le garanzie oggettive di indipendenza (§ 77).
È stato inoltre sottolineato che quando le principali prove alla base delle accuse sono costituite dalle testimonianze degli agenti di polizia che hanno svolto un ruolo attivo negli eventi contestati, è essenziale che i tribunali utilizzino ogni ragionevole opportunità per verificare le dichiarazioni incriminanti rese da questi agenti di polizia, pena la violazione dei principi fondamentali del diritto penale, in particolare del principio “in dubio pro reo” (§ 81).
Tali principi non sono stati rispettati nel caso di specie, in quanto gli organi giurisdizionali chiamati a giudicare la colpevolezza del ricorrente non hanno adeguatamente valutato le prove fondanti le accuse, consistenti nelle sole dichiarazioni degli ufficiali di polizia che hanno effettuato l’arresto. Ad esempio, nell’ambito del processo che ha condotto alla condanna del ricorrente, non è stato dato peso alla circostanza che lo stesso Governo belga avesse ammesso che l’arresto della vittima fosse avvenuto in circostanze tali da concretizzare un trattamento degradante contrario all’art. 3 C.e.d.u. (§ 71). Dichiarazione, questa, cui la Corte d’appello interpellata ha accordato una limitata portata nell’ambito del procedimento penale istruito a carico del ricorrente. Nel dettaglio, a parere della Corte d’appello, il Governo, parlando di trattamenti degradanti, si riferiva unicamente a taluni insulti pronunciati dagli ufficiali di polizia e non a vere e proprie forme di violenza fisica.
La Corte ha quindi ritenuto che i giudici non abbiano fornito al ricorrente una procedura equa compatibile con i requisiti dell'articolo 6 § 1 C.e.d.u. e che, di conseguenza, c'è stata una violazione del richiamato articolo della Convenzione (§ 90 e 91).