Una... «Rivista nuova»

Nell’Editoriale del 2011 scrivevamo: «Oggi non inauguriamo una nuova rivista; oggi presentiamo un'antica rivista su cui vogliamo scrivere cose nuove. Nuovo ed antico, attualità e visione futura, essere capaci di cogliere le novità che il tempo presente ci propone e riflettere sulle stesse con la profondità e la progettualità che ci hanno insegnato i nostri antichi maestri: questa è la sfida ed il programma della nuova versione di Archivio Penale».

Come ebbe a confermare nello stesso periodo Giorgio Spangher in sede di formale «Presentazione» di quella radicale svolta editoriale, rispetto a quella fondata nel 1945 dal prof. Remo Pannain, Archivio Penale non è una “nuova rivista” tra le tante bensì e piuttosto una “rivista nuova” che si occupa non solo di diritto e procedura penale ma anche di politica criminale, di princìpi europei e di critica giudiziaria.

Dopo la scomparsa del prof. Remo Pannain, avvenuta nel 1967 esattamente mezzo secolo fa, di fronte al dilemma se far cessare la pubblicazione in estremo segno di reve-rente saluto o proseguire la pubblicazione, era subentrato il figlio Aldo Pannain che ne ha assunto la Direzione aiutato nel tempo da illustri giuristi, quali Gaetano Foschini, Girolamo Tartaglione (poi ucciso dalle Brigate Rosse), Tullio Delogu, Renato Dell’Andro, Angelo Raffaele La Tagliata, Franco Coppi, Fabrizio Ramacci, Gustavo Pansini, nell’intento di proseguire, con enormi sacrifici anche d’ordine materiale, quel-lo che era stato l’orgoglio del Fondatore.

Dal 2011 Alfredo Gaito, aiutato da una schiera di docenti e magistrati (di varia estra-zione culturale, politica ed accademica) e di giovani studiosi italiani e stranieri, ha dato un nuovo impulso e un nuovo volto all’Archivio Penale, prediligendo, costantemente, la trattazione di argomenti al passo con le novità legislative e giurisprudenziali prove-nienti dalle Istituzioni europee e nazionali, facendo sempre leva sulla tutela dei diritti di coloro che si trovano nelle maglie della scena giudiziaria.

L’inarrestabile evoluzione giurisprudenziale delle Corti europee tende oramai a so-spingere protagonisti e comprimari della procedura penale verso equilibri avanzati, un tempo impensabili: la Rivista recepisce e cerca di razionalizzare questo continuo cam-biamento: il rinnovamento delle idee, che spesso passa attraverso la riproposizione dei medesimi grandi temi al commento di autori diversi e la apertura a collaboratori sempre nuovi, è l’unica risposta possibile per fornire al lettore uno strumento di ag-giornamento duttile, elastico e completo.
Pur attraverso tante mutazioni, però, la Rivista riesce a restare fino in fondo se stessa: uno strumento eclettico, propositivo e creativo.

Come abbiamo affermato in quel primo Editoriale del 2011, «Per molti di quelli che "governano" questa rivista o che collaborano o collaboreranno con essa lo studio del di-ritto e del processo penale è stata l'impresa di una vita e non possono tollerare di vedere il loro ruolo relegato a quello di "notaio" –qualificato, bensì, ma pur sempre acquie-scente– della degenerazione, dello snaturamento degli istituti di garanzia individuale la cui importanza hanno sempre sottolineato per la vita e la dignità di una democrazia. Ma anche i più giovani fra i collaboratori hanno scelto di sottrarsi al ruolo di "servi sciocchi" che altri –la politica, i mass media– hanno intenzione di riconoscere ed attri-buire loro per il futuro.
In uno Stato di diritto, le regole le fa il Parlamento, le sentenze le pronunciano i giudi-ci, le accuse vengono avanzate dai pubblici ministeri: le prime si osservano, le seconde si rispettano, le terze si contrastano nei processi, ma nessuna autorità –né il Parlamento, né i giudici, né tantomeno i pubblici ministeri– può pretendere che l'osservatore si presti a dare acritica notizia di una nuova norma dissonante, di una decisione degenera-tiva, di una ipotesi accusatoria azzardata senza sforzarsi di capire, senza farne un'analisi critica, senza proporre una soluzione diversa e forse migliore.
La rinuncia ad un atteggiamento critico nei confronti degli operatori istituzionali del di-ritto non è ossequio alle regole dello stato democratico postmoderno, ma è pigrizia, o forse paura; o, peggio ancora, sottaciuta ed inespressa condivisione degli indirizzi e del-le filosofie che sottostanno alla riforma istituzionale, alla decisione giurisdizionale, alle indagini di volta in volta sotto esame.
Di fronte alla crisi del sistema, è necessario adottare un atteggiamento assolutamente diverso rispetto a quello meramente informativo cui tanti vorrebbero adagiarsi, dando così per esaurito il proprio impegno di studiosi del diritto».

Concludevamo allora il nostro programma nel senso che «da queste pagine non sarà esclusa nessuna voce, ché noi non vogliamo imporre un nostro personale progetto di cambiamento della giustizia penale, ma intendiamo solo offrire a chiunque una palestra ed un luogo dove dibattere e pensare nella consapevolezza –questa sì: comune a tutti coloro che partecipano a questa iniziativa– della necessità e del dovere etico dell’impegno culturale di tutti per il funzionamento del nostro sistema democratico. Da queste pagine, dunque, nessuno sarà mai escluso, salvo chi non accetta di ascoltare, ac-canto alla sua, altre voci ed opinioni: ci dispiace se vi è ancora chi crede di poterla pen-sare a questa maniera, ma ci consoliamo subito con la consapevolezza che, in casi del genere, un cammino insieme sarebbe comunque destinato a durare poco».

In questi sei anni non ce ne siamo pentiti, anzi! E allora: andiamo avanti.

Roma, gennaio 2017

LA DIREZIONE