In principio era il grimaldello, che il dizionario Treccani definisce “tondino di ferro ritorto a una estremità, usato al posto della chiave per aprire o forzare serrature”. Anzi i «grimaldelli» che capeggiano, al plurale, nella rubrica legis dell’art. 707 c.p. («Possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli») senza essere riproposti nel precetto, che invece enumera, accanto alle «chiavi alterate» e a quelle «genuine», gli «strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature».
Di questi “strumenti” – genuini o contraffatti che siano – il Codice Rocco del 1930, in continuità con l’art. 492, comma 2, del Codice Zanardelli del 1889 (quale sotto-fattispecie della contravvenzione «Del possesso ingiustificato di oggetti e valori»), ne incrimina, a titolo contravvenzionale, il possesso ingiustificato da parte di coloro che siano stati condannati (con sentenza irrevocabile) per delitti determinati da motivi di lucro. Un (problematico) reato di mero sospetto o senza azione, (cfr. già Bellavista, I reati senza azione, Napoli, 1937; Rende, Reato di sospetto e sospetto di reato, in Foro it., 1937, fasc. XV-XVI) che, per eccezione, incrimina un fatto che si sospetta preparatorio di delitti contro il patrimonio e che, per difetto di univocità, non potrebbe rientrare nella previsione del tentativo (così già Maggiore, Diritto penale, vol. II, Parte speciale. Delitti e contravvenzioni, t. II, Bologna, 1958, 1135).
Fermo il principio (fissato sin dai primi anni di vigenza del Rocco: Cass. 12 febbraio 1936, Feltrini, in Giust. pen., 1936, II, 1106, m. 848) che basta anche solo uno degli oggetti menzionati ai fini della sussistenza del reato, perché l’espressione della legge, al plurale, è in senso indeterminativo, sentenza dopo sentenza il “grimaldello” è stato assunto ad archetipo di tutti i possibili “attrezzi del mestiere” solitamente utilizzati dai ladruncoli “matricolati” per introdursi in luoghi chiusi a scopo predatorio.
Mercè un’elencazione non tassativa degli «strumenti atti ad aprire o sforzare serrature» – foriera, giocoforza, di quell’analogia anticipata perché insita nella stessa formulazione legislativa esecrata dalla manualistica (per tutti, Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2001, 76 s.) – la prassi pretoria ha configurato i «grimaldelli» ad exempla di ogni possibile arnese atto allo scas-so, degradandoli a mero “dato utile ad orientare l’interprete”, come ammette la sentenza in epigrafe.
Tra gli strumenti atti ad aprire o a forzare serrature – espressione dunque intesa dalla giurisprudenza in senso ampio, comprensivo non soltanto di determinati arnesi tipici, di per sé destinati all’apertura di serrature o di altri analoghi congegni, ma di qualsiasi altro mezzo dotato di attitudine potenziale rispetto allo scopo – dai repertori spuntano: le pinze (Cass., 21 dicembre 1953, Ballarini, in Giurispr. compl. Cass., 1953, VI, 389, 4462), le tenaglie (Cass., Sez. II, 11 di-cembre 1957, Savina, in Giust. pen., 1958, II, 458, m. 432), lo scalpello (Cass., Sez. 6, 19 giugno 1968, Urgherati, in Cass. pen. Mass. ann., 1969, 836, m. 1291), il cric (il quale, adoperato come leva, risulta particolarmente adatto a muovere chiusure, a vincere resistenze e in generale a produrre effrazioni: Cass., Sez. III, 21 aprile 1960, P.M. in proc. Conti, in Giust. pen., II, 245, m. 297), uno scalpello in ferro lungo 18 cm. (in quanto valido mezzo di effrazione o di violenta forzatura di congegni di chiusura: Cass., Sez. VI, 19 giugno 1968, n. 989, Irgherait, Rv. 108787-01); un uncino, un temperino, un fil di ferro (Cass., Sez. VI, 25 novembre 1969, n. 2201, Pannello, Rv. 113439-01).
In tempi relativamente più recenti, il florilegio giurisprudenziale ricomprende: gli strumenti tagliavetro (Cass., Sez. VI, 29 aprile 1980, n. 12276, Giuntini, Rv. 146763-01), una spranga acuminata in quanto utilizzabile per distruggere o demolire i congegni di chiusura, così vanificandone la funzione (Cass., Sez. II, 13 novembre 1986, dep. 1987, n. 2362, Funari, Rv. 175205-01), un temperino (Cass., Sez. II, 28 settembre 2012, n. 48172, Novara, Rv. 253900-01), le cesoie (Cass., Sez. II, 3 febbraio 2021, n. 11564, Vitagliano, Rv. 280808-01).
Al contempo, in via pretoria è stata vieppiù dilatata pure la correlata nozione di «serrature», ossia l’oggetto preso di mira dall’agente “del mestiere” dopo essersi munito di (qualunque strumento atto ad a aprire e forzare quale il) grimaldello: per cui è serratura non solo la comune toppa, ma qualunque congegno che, disposto per tener chiusa una cosa o per immobilizzarla, sia tale da non poter essere posto in azione se non mediante una chiave o un altro oggetto funzionante come chiave (Cass., 2 maggio 1949, Boroni, in Giust. pen., 1957, II, 44, 42). Come a dire che sono serrature, non soltanto le serrature vere e proprie, ossia le chiusure dotate di chiavi, ma qualunque presidio posto a presidio di beni, pubblici o privati, idoneo a chiudere uno spazio chiuso preservandolo da intrusioni (Cass., Sez. II, 13 novembre 1986, dep. 1987, n. 2362, Funari, Rv. 175205-01; Cass., Sez. II, 28 settembre 2012, n. 48172, Novara, Rv. 253900-01).
In quest’ottica sempre più “largheggiante”, sentenza dopo sentenza, agli effetti dell’art. 707 c.p., sono stati considerati muniti di serratura anche i deflettori degli autoveicoli che, pur non essendo chiusi con chiavi, sono costruiti in modo da poter essere bloccati dall’interno e da impedire ogni abusiva apertura dall’esterno (Cass., Sez. VI, 3 dicembre 1971, dep. 1972, n. 479, Sansone, Rv. 119943-01; Cass., Sez. II, 28 aprile 1986, n. 10093, Lombardi, Rv. 173842-01), come pure i lucchetti o le catene assicurate con analoghi strumenti che impediscono l’accesso e l’apertura di porte e varchi (Sez. II, n. 11564 del 03/02/2021, Vitagliano, Rv. 280808-01).
Il dato semantico – spiega la decisione annotata – autorizza l’identificazione del termine “serratura” con tutti quei congegni, meccanici o elettrici, che servono a delimitare (cancelli) o chiudere spazi più o meno ampi (porte/porte finestre/cassetti/casseforti) riservandone l’accesso ad un ristretto novero di soggetti abilitati.
Come in una piana alluvionale, i “sedimenti” giurisprudenziali depositati, lustro dopo lustro, nel fondo dell’art. 707 c.p. ne hanno gradualmente ingrossato l’alveo, in nome di una ratio legis che nulla ha potuto contenere: dal punto di rotta dell’argine semantico, la sentenza in epigrafe, quasi inavvertitamente, esonda su questo “ambiente sedimentario”, allargandolo oltremodo in forza di quel precedente che, dieci anni or sono, aveva già esteso il concetto di “serratura” fino ad includervi i vetri che ostino all’ingresso in qualsiasi spazio separandolo dall’esterno (Cass., Sez. II, 9 marzo 2015, n. 17428, Cecchetti, Rv. 263758-01). E rinnega quello di opposto tenore – nella specie invocato dal ricorrente – secondo cui va escluso dalla nozione di «strumenti atti ad aprire o a forzare serrature» il martelletto frangivetro e qualunque altro oggetto idoneo ad infrangere un vetro (Cass., Sez. II, 17 aprile 2014, Cribioli, n. 18393 del 17/04/2014, Rv. 259431-01).
Parafrasando il poeta: se analogia non è, che dunque è quel ch’io sento?