Col quesito che fa da titolo a questo scritto intendiamo inaugurare, sotto gli auspici della Rivista, una stagione di interrogativi processuali capaci di approfondire, all’epoca del post-moderno, quali siano gli aspetti critici della procedura penale e, soprattutto, quali le doverose risposte da dare alle questioni nuove, facendo buon uso dei principi superiori.
La rubrica trae spunto dalla felice esperienza dei volumetti d’esercitazione pratica di Ottorino Vannini e intende porsi sulla medesima scia di rigore metodologico nello studio dei problemi che nascono sulla scia dell’esperienza giudiziaria di tutti i giorni e che, per via della crescente complessità, richiedono un approccio nuovo nella ricerca della soluzione conforme all’equo processo: un’impostazione che sia basata, in breve, sul buongoverno delle regole europee condizionanti la ricostruzione dei diritti processuali dell’accusato, allo scopo di descrivere la via d’uscita più adeguata al soddisfacimento delle istanze che provengono dallo scenario sovranazionale in tema di minimo etico a pretendersi per la legalità processuale.
Lungi dal voler intrattenere il lettore con quegli aspetti di dettaglio propri del buon “glossatore”, con questo format s’intende perseguire il più alto scopo di mettere in luce le criticità che emergono da un sistema composito, in cui le regole del gioco sono il frutto di aggiustamenti progressivi imposti dal crescente innalzamento di tutela dovuto al formante europeo, con tutto ciò che ne consegue in termini di (in)adeguatezza delle norme di risulta a proteggere i diritti fondamentali che sono propri dell’imputato.
Più che all’analisi asettica dei meccanismi, dunque, si vuole dare spazio ad un approccio che metta al primo posto la critica costruttiva, nella consapevolezza che solo in questo modo è possibile assicurare una riflessione densa di contenuti e in grado di contribuire alla definizione del modo democratico di fare giustizia.
ALFREDO GAITO